I colori del Jazz
Entrare in contatto con le opere di Mauro Modin significa lasciarsi coinvolgere emotivamente. La sua arte parla infatti di emozioni, di colori, di positività e di trasporto. L’artista stesso infatti trova nella dimensione artistica il veicolo più efficace volto alla trasmissione di un pensiero da comunicare, tramite cui creare un dialogo con l’esterno, rivolto a tutti. In tal senso si può forse ancora parlare di espressionismo quando, tramite le parole di Coltraine, trova nella musica quell’intima connessione cosmica in grado di raggiungere ogni angolo segreto, ispirare l’immaginazione ma anche emozionare. Ed è una connessione che vuole dirsi positiva, nella consapevolezza che arte è prima di tutto pensiero, intelletto, amore, in breve: umanità. Nella vita di Modin non è possibile scindere il Modin artista dal Modin quotidiano: per lui tutto può essere trasformato, perché l’arte inevitabilmente trasforma! I semplici oggetti che continuamente vediamo senza però curarcene son altrettanto degni di essere investiti di bellezza e passione: le sedie a cui vien tolto il loro volto ignoto, comune, insignificante dato dalla semplicissima connotazione di mezzo, strumento, utilità sono in realtà sguardi profondi, loquaci. Intense melodie non si leggono solamente nei colori, ma anche nella loro originale composizione, così come si compone una musica o un linguaggio secondo un’organizzazione non presente nel caos della natura. Il nesso tra musica e pittura è sempre presente in Modin, e del resto entrambe possono dirsi espressione, messaggere di qualcosa, indefinibile col solo intelletto, che va primariamente sentito vivendo. La carica manifesta degli assemblages, dai tavoli elevati ad opera d’arte, dalle tele ad olio, dai graffi che si distinguono quasi fossero una firma, son pregni di vita, di quel senso di immensità che non vuole conturbare, piuttosto coinvolgere calorosamente. L’animo rock insito in Modin continua ad emergere anche quando si definisce follemente innamorato del Jazz. Imprevedibile e di natura sperimentale la musica Jazz di Yusef Lateef, e di John Coltrane in primis, rappresenta la migliore trasposizione della profonda riflessione filosofica sulla sacralità della vita che si offre all’uomo nella sua pienezza. Ad accogliere tale visione spirituale è l’arte di Modin. Non è mancata infatti la cruciale occasione che ha visto l’artista a portare le sue opere accanto lo stesso Yusef Lateef, a Milano, nel 2012. L’evento è stato per lui una vera meta personale: l’affinità di pensiero e la condivisione del messaggio umano, maturato lungo tutto l’arco di una vita, è ciò che ha da tempo avvicinato Modin alla poetica del Maestro del Jazz. L’arte come comunicazione, come contatto con il mondo, ma primariamente, rapporto che parte dall’individuo per connettersi ad un altro individuo. L’ispirazione artistica in Mauro va necessariamente letta accanto alla musica, variamente declinata nella storia della pittura secondo il gusto e la cultura del tempo, ma inevitabilmente relazionata a dimensioni che tendo allo spirituale o all’analisi interiore. Le forme tecniche di cui egli si avvale nella pratica esecutiva gli permettono di dare sempre nuove sfumature all’immagine tanto da esser presenti sia nell’aniconico quanto nel figurativo, comportandosi come fosse di fronte ad una materia da plasmare sotto la forza della pressione o alleggerire nella velatura dell’olio prima steso e poi parzialmente tolto; in un’operazione che sembra svolgersi a ritroso, sembra apparire dalla materia grezza. L’immagine s’intravvede, altre volte s’impone, altre ancora sembra avere di fronte bellissime icone della memoria, dorate e bilanciate con l’uso di diversi materiali. Visitare una mostra di Modin è come immergersi in un altro mondo: opere in gran quantità accolgono chi oltrepassa la soglia divisoria tra comune e fantasia, per trovarsi catapultati in mezzo a moltissime altre presenze, frutto di una vita dedicata alla creazione. Sono i volti rappresentati a rendere l’impressione di essere sempre in compagnia, i musicisti compositori a rendere lo studio un teatro, una casa, un palcoscenico, un ambiente vicino con sfumature umoristiche o con il forte impatto dei colori audaci che restituiscono la forza passionale di un animo determinato, oltreché sensibile verso la bellezza dei rapporti tra gli elementi. Le diverse personalità tra punk-rock e Maestri del Jazz fanno del suo studio un luogo affollato ed eterogeneo, ogni volta diverso.
Angela Zenato
Recensioni sull’ Artista Turchetti Patrizia
Patrizia Turchetti nella fotografia ha trovato la sua forma espressiva più completa e compiuta.
Il linguaggio che si materializza nei suoi scatti è qualcosa che va oltre la forma materica e la sostanza di una storia narrata. Non a caso spesso una delle scelte espressive di questi “racconti” è quella della sottrazione. Niente orpelli o arricchimenti, al punto che lo stesso soggetto, sia esso umano o di altra natura, potrebbe assentarsi per un momento dallo scatto perché in ogni caso rimarrebbe viva e tangibile la testimonianza animica di chi fotografa. Una sorta di storia nella storia, di doppio romanzo che le consente di non essere mai l’occhio che osserva, ma invececolei che consente, che agevola il materializzarsi di una situazione o di una condizione. L’ambito preferito di Patrizia Turchetti è la foto d’Arte, ma ancor più quella che si dedica all’artista che crea. Principalmente le location preferite sono quelle senza confini, è lei stessa a creare sempre le condizioni per cui anche un luogo circoscritto possa diventare un microcosmo da esplorare. Il principio dell’assenza vale anche per la tecnica fotografica che è più basata sulla ripetizione empirica dello scatto, alla ricerca del quid o della pietra filosofale, come insegnano gli alchimisti. Non c’è mai una preparazione sfiancante del “set” da cui ottenere un risultato strabiliante al primo colpo. Patrizia Turchetti è una vera artigiana, prima che un’artista, e come tale “ascolta” ciò che è intorno a lei e “trasforma” solo ciò che occorre, senza sprecare nulla ma amando profondamente tutto ciò che la spinge a fotografare. Patrizia non produce scatti, non parla lingue già scritte, non è il demiurgo. Patrizia è essa stessa il linguaggio.
Carlo Vantaggioli